L'archivio teatrale: ripensare il reale e l'immaginario. Questioni, direttrici, casi studio
L’esistenza, la sopravvivenza, la vita e il benessere di una comunità paiono, fin dall’antichità, strettamente intrecciati alle questioni relative all’archivio. Come scrive Aleida Assmann, «la qualità democratica o dittatoriale di un’istituzione si giudica proprio in base all’accessibilità dei suoi archivi» (Assmann 1999, 382). Se questo appare pienamente evidente nel caso di archivi istituzionali, per cui nelle «società illiberali e negli stati totalitari i contenuti dell’archivio vengono tenuti segreti, laddove nelle società democratiche essi sono pubblici, sono un possedimento collettivo che può essere utilizzato e interpretato a livello individuale» (Assmann 1999, 383), meno palese ma forse ancor più fondamentale è il ruolo emblematico e fecondo che, a questo proposito, assumono i cosiddetti archivi d’artista e tra essi, andando ancor più nello specifico, quelle entità decisamente peculiari che sono gli archivi teatrali.
«Ogni opera d’arte», scrive Cristina Baldacci, «è già di per sé una sorta di archivio» (Baldacci 2016, 34), nella sua capacità di catturare frammenti e tracce del reale per riorganizzarle, decostruirle, risignificarle, mostrarne i nessi e le falle. Un archivio d’artista, allora, raddoppia le potenzialità generatrici che ogni archivio, di per sé, presenta e, con esse, le possibilità di messa in discussione e ripensamento del reale, tanto vitali per ogni aspirazione a un benessere sia individuale che collettivo. In questo specifico contesto, l’archivio teatrale sembra allora possedere la facoltà di moltiplicare ulteriormente quelle potenzialità, per il suo paradossale rapporto con la memoria e la testimoniabilità di un’opera d’arte che ha nella transitorietà e nell’impermanenza la propria natura e la propria essenza, e per di più, come scrive Diana Taylor, per il potere che ha la performance «di rendere possibile per gli individui e le collettività re-immaginare e riconfigurare le regole sociali, i codici e le convenzioni che si rivelano più oppressive e dannose» (Taylor 2016, XIV).
L’intervento, intrecciando le riflessioni legate all’acquisizione relativamente recente del “patrimonio teatrale” come bene culturale a quelle sollecitate dall’archivio, intende attraversare, con riferimento a casi studio specifici, la pluralità delle questioni e delle direttrici che orbitano intorno all’archivio teatrale e alla sua natura di dispositivo capace di rigenerare costantemente i modi e le possibilità di riappropriazione e riconfigurazione del reale e dell’immaginario tanto collettivo quanto individuale, ponendosi così come uno dei “produttori di benessere” più importanti e irrinunciabili di una società.